Via libera al divieto di parcheggio su aree condominiali

Fondamentale però che non si concretizzi in un divieto assoluto di utilizzo del bene, ma vi sia l’obiettivo di rendere più ordinato e razionale l’uso paritario

Via libera al divieto di parcheggio su aree condominiali

L’assemblea condominiale può legittimamente deliberare limitazioni all’uso delle parti comuni, incluso il divieto di parcheggio su aree condominiali, purché, però, non si traduca in un divieto assoluto di utilizzo del bene e sia finalizzata, invece, a rendere più ordinato e razionale l’uso paritario secondo le rispettive circostanze.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 25227 del 15 settembre 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura del contenzioso sorto in uno stabile in quel di Roma, precisano che la possibilità dei comproprietari di usare un’area comune a parcheggio, salvo che sia costituita in forma specifica ed autonoma come diritto di servitù, costituisce solo una facoltà di uso del bene connessa al diritto di comproprietà e rimane sottoposta alla disciplina dell’uso del bene comune adottata dalla maggioranza dei condòmini.
Riflettori puntati, nella specifica vicenda, sulla delibera con cui viene prima dichiarata la condominialità di un’area di distacco e viene poi stabilito che su detta area è consentito il passaggio delle auto dei proprietari dei garage per l’accesso delle autovetture, con esclusione del diritto di parcheggio da parte dei condòmini.
Già per i giudici d’Appello va preso atto del riconosciuto carattere pertinenziale dell’area e della relativa sua funzione di distacco a favore del condominio nel suo complesso. In aggiunta, poi, viene chiarito che col rogito richiamato dai condòmini che contestano la delibera non è stato trasferito il diritto di parcheggiare, poiché di tale diritto non erano titolari i venditori, nulla in contrario essendo previsto nel regolamento condominiale.
Per i giudici di Appello, quindi, va riconosciuto il solo diritto di passaggio carrabile ai condòmini proprietari dei garage, escludendo quello di parcheggio, poiché, ferma la condominialità dell’area, nessun diritto esclusivo di uso trova riscontro nei rogiti di acquisto o negli atti di provenienza.
In sostanza, la norma del regolamento condominiale, nella parte in cui pone a carico dei proprietari dei garage le spese del passo carrabile, si giustifica per il fatto che tale facoltà di transito è attribuita solo ai condòmini proprietari dei garage, essendo collegata alle limitazioni di uso dello spazio comune, senza riconoscere loro un diritto esclusivo di parcheggio, che, in effetti, costituendo una vera e propria servitù sul bene comune, avrebbe richiesto il consenso scritto di tutti i condòmini. Mentre la scrittura privata richiamata per contestare la delibera contiene una semplice autorizzazione ad occupare temporaneamente l’area per realizzare un accesso pedonale secondario in favore di un condòmino, non il diritto di parcheggio.
A chiudere il cerchio provvedono i giudici di Cassazione, i quali sottolineano che
la delibera condominiale ha regolato il diritto di accesso carrabile e ha proibito a tutti i condòmini il diritto di parcheggiare, senza introdurre un divieto assoluto di utilizzo del bene. E tale regolazione non ha ecceduto dai limiti che incontra il potere deliberativo dell’assemblea, potendo essa regolare l’uso delle parti comuni, con la facoltà di imporre limitazioni più restrittive alle facoltà concesse dal Codice Civile in materia di uso della cosa comune.
I giudici precisano poi che le determinazioni collegiali che introducono una limitazione dell’uso del cortile come parcheggio si limitano a renderne più ordinato e razionale l’uso paritario secondo le rispettive circostanze. E non è affetta da nullità la delibera adottata dall’assemblea condominiale che vieti l’uso carrabile ed il posteggio su tutta la parte dell’area antistante l’immobile comune, poiché non preclude l’uso diverso di tale porzione agli altri comproprietari. E la possibilità dei comproprietari di usare un’area comune a parcheggio, tranne il caso che sia costituita in forma specifica ed autonoma come diritto di servitù, costituisce solo una facoltà di uso del bene connesso al diritto di comproprietà e rimane pertanto sottoposta alla disciplina dell’uso del bene comune adottata dalla maggioranza dei condòmini.

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