Inaccettabile la norma nazionale che impone la vendita di taluni prodotti agricoli ad un prezzo determinato e in un quantitativo predefinito

I giudici sottolineano che così la norma impedisce ai commercianti, senza adeguate giustificazioni, di fissare liberamente i prezzi e i quantitativi di vendita di tali prodotti sulla base di considerazioni economiche

Inaccettabile la norma nazionale che impone la vendita di taluni prodotti agricoli ad un prezzo determinato e in un quantitativo predefinito

La normativa nazionale che impone ad un commerciante di mettere in vendita taluni prodotti agricoli ad un prezzo determinato e in un quantitativo predefinito è contraria al diritto dell’Unione Europea. Ciò perché essa impedisce ai commercianti, senza adeguate giustificazioni, di fissare liberamente i prezzi e i quantitativi di vendita di tali prodotti sulla base di considerazioni economiche. Questi i paletti fissati dai giudici comunitari (sentenza del 12 settembre 2024 della Corte di giustizia dell’Unione Europea), chiamati a prendere in esame il caso scoppiato in Ungheria a seguito di un provvedimento governativo emesso nei primi mesi del 2022. In sostanza, nel febbraio del 2022, nel contesto della pandemia di Covid-19, l’Ungheria ha regolamentato la commercializzazione di sei prodotti di base (taluni tipi di zucchero, farina di grano, olio di girasole, carne suina e di pollame, nonché di latte), e poi, a partire dal novembre del 2022, a causa della guerra in Ucraina, il decreto è stato modificato e altri due prodotti sono stati aggiunti all’elenco, ossia le uova e le patate. Il decreto governativo è rimasto in vigore fino al 31 luglio 2023. Secondo tale testo, i commercianti che avevano già commercializzato tali prodotti ad una data anteriore determinata erano tenuti, a pena di ammenda, a metterne in vendita un quantitativo predefinito – in funzione, in un primo momento, del quantitativo giornaliero medio messo in vendita durante un periodo di riferimento e, in un secondo tempo, del quantitativo detenuto nelle scorte dei prodotti in questione durante un tale periodo di riferimento – ad un prezzo regolamentato. Nel maggio del 2023, infine, le autorità ungheresi hanno inflitto un’ammenda ad una commerciante al dettaglio, constatando che, in uno dei suoi spazi adibiti alla vendita, essa non aveva rispettato i quantitativi giornalieri nelle scorte di cinque prodotti previsti dal decreto. La commerciante ha adito le vie legali per ottenere l’annullamento dei provvedimenti adottati dalle autorità ungheresi, e lo ha fatto richiamando il principio della libera determinazione dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli sulla base del libero gioco della concorrenza. A rispondere hanno provveduto i giudici comunitari, accertando, innanzitutto, che il decreto governativo viola il libero gioco della concorrenza. Infatti, l’obbligo di mettere in vendita prodotti agricoli a prezzi regolamentati e in quantitativi determinati impedisce ai commercianti di fissare liberamente i loro prezzi di vendita e i quantitativi che intendono vendere sulla base di considerazioni economiche. A fronte della posizione sostenuta dall’Ungheria, secondo cui la restrizione sarebbe giustificata dalla lotta contro l’inflazione e dalla tutela dei consumatori sfavoriti mediante un approvvigionamento garantito di derrate alimentari di base a prezzi accessibili, i giudici obiettano che, anche supponendo che il decreto governativo sia idoneo a realizzare tali obiettivi, le misure che esso comporta non sono proporzionate. Infatti, il pregiudizio al libero accesso dei commercianti al mercato in condizioni di concorrenza effettiva, nonché le turbative su tutta la catena di approvvigionamento causate dai prezzi regolamentati e dai quantitativi imposti a tali commercianti eccedono quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti dal decreto.

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